giuseppe montanari

biografia


Caricatura fatta da Ivo Pannaggi nel '27
Giuseppe Montanari nacque a Osimo (Marche) il 30 ottobre 1889. Compì gli studi classici in un collegio di Fermo; venne a Milano nel 1906 per frequentare l' Accademia di Brera, dove, fra gli altri, ebbe come maestro Cesare Tallone, licenziandosi col Premio Ministeriale.
Partecipò alla prima guerra mondiale in artiglieria da montagna sull' altopiano di Asiago. Croce al merito di guerra.
Alla fine della guerra venne mandato a Bergamo e, dopo essere stato congedato, nel 1919 tornò a Milano. Subito dopo conobbe Nina Ghiringhelli, sorella di un suo compagno d'arme, che sposò stabilendo la propria dimora alla Prima Cappella del Sacro Monte di Varese.
Dal 1922 partecipò a tutte le principali mostre italiane ed estere, vincendo numerosi e importanti premi di pittura nazionali ed internazionali e nel 1923 diventò socio onorario dell' Accademia di Brera.
Nella seconda guerra mondiale perse il figlio primogenito Luigi, guardiamarina, morto in combattimento sulla corvetta "Cicogna" durante uno scontro aero-navale nello stretto di Messina.
Poco dopo si trasferì a Milano per ritornare definitivamente, dieci anni dopo, alla sua casa sotto il Sacro Monte di Varese, luogo dal quale si gode un panorama incantevole.
Ingegno versatile, scrisse numerosi articoli d'arte e di critica su vari periodici e pubblicò i volumi "Memorie senza tempo" e "Fogli sparsi di un taccuino di guerra"; oltre ai numerosi dipinti, realizzò anche affreschi, mosaici ed intarsi marmorei presenti in edifici pubblici e strutture private; sue opere si trovano in importanti musei e collezioni d'arte nazionali ed internazionali.
Morì nell' aprile del 1976 a Varese, lasciando l'amata moglie Nina e i figli Giancarlo e Marisa.

note autobiografiche

Come venni a Varese

Vecchia Milano 1906. Bellissima per me ragazzotto appena giunto da un paesello adriatico di pescatori per frequentare l' Accademia di Brera.
Sentivo parlare di Varese con vera ammirazione. La chiamavano la "Versailles" di Milano. Vedevo quasi tutti i giorni sul cartellone del sopra passaggio della ferrovia che traversava corso Como, la vistosa scritta "Treni elettrici" Milano-Gallarate-Varese. I primi treni elettrici!
Sentivo dire del lago, del Sacro Monte, del Campo dei Fiori, delle funicolari. Una fata Morgana per me.
E ogni giorno mi ripromettevo d' andarla a vedere. Ma vidi Como, vidi Bergamo, vidi Lecco, vidi Pavia, ma Varese non la vidi mai.
Venne la grande guerra e sul fronte del Trentino conobbi un giovane ufficiale d'Artiglieria da montagna, la mia arma ( Celestino Ghiringhelli, un valoroso - una medaglia d'argento, due di bronzo - ). Diventammo amici fraterni. Era di Varese. Mi parlava della sua terra, della sua mamma. In un giorno di calma gli feci il ritratto.
Nel 1918 morì mio padre e fui avvicendato al mio reggimento a Bergamo. Il mio amico mi pregò di portare colà il ritratto che avrebbe fatto ritirare dai suoi.
Finita la guerra rimasi più di un anno a Bergamo in attesa del congedo e compatibilmente coi doveri di caserma, cercavo di lavorare in uno studio affittato.
Un giorno venne la sorella del mio amico a ritirare il quadro del fratello. La mia cagnetta "Lilla" una fox-terrier, che mi aveva regalato un ufficiale inglese, le fece un mucchio di feste e di complimentini.
Alla meraviglia della signorina per tanta espansione io dissi una frase forse banale : " Non fa, poverina, che quello che vorrebbe fare il suo padrone".
Era estate e faceva un caldo feroce, ma da quel momento sentii ghiacciare tutto attorno a noi!
Una delle mie solite gaffes.
Finalmente fui congedato. Anche il mio amico, che non avevo più rivisto, era tornato a casa sua.
Mi invitò a Varese, perchè voleva che facessi il ritratto a sua mamma.
Fu così che una bella mattina di maggio del 1919 scesi alla stazione di Varese. Dal piazzale fra un carosello di tramvai bianchi mi si presentò la corona magnifica delle montagne opulenti di verde, di un verde turgido raro e la visione quasi mistica del Sacro Monte e del Campo dei Fiori, nel fulgore del sole di primavera.
Fu una festa indescrivibile l' ascesa alla Prima Cappella sul rimorchio a giardiniera aperta del tranvaino bianco che scampanellava e fischiava allegro scarrocciante sulle rotaie, come un pazzarellone, fra ville e giardini affollati di piante.
Così conobbi il largo stradone che sciorina le interessantissime Cappelle lungo il suo percorso fino al Santuario; le funicolari che si inerpicano fra il verde sui dossi di S. Maria del Monte e del Campo dei Fiori, la vista incantevole della vasta pianura lombarda disseminata di paesi, i sette laghi, la catena maestosa del Monte Rosa, le montagne della confinante Svizzera, le tre valli Varesine, l' aria balsamica che tutto avvolge e vivifica. Un godimento indimenticabile.
Tornai per il ritratto della signora Elisa. Tornai ancora, rapito dalla sua Nina, la compagna impareggiabile della mia vita.
Così restai a Varese e vi divenni suo affettuoso cittadino d' elezione; così amai questa plaga benedetta da Dio, dove la natura innalza al creatore il suo più intenso inno di gloria e dove è peccato mortale ogni mancanza di rispetto e ogni delittuoso attentato all' integrità della sua armoniosa bellezza.

Giuseppe Montanari

note autobiografiche

Confessioni

E' difficile parlare di se stessi.
Si prova la sensazione come davanti allo specchio. Ti vedi tutti i difetti e non ti piaci.
Qualche volta ho pensato che se, da ragazzo trasportato da quest' irrefrenabile passione per le Arti Belle, avessi avuto la percezione precisa della battaglia che avrei dovuto combattere, forse ragionandoci su, o per convenienza o per vigliaccheria, avrei scelto un altro mestiere.
Ora dopo tanti anni di esperienze, malgrado le lotte, i travagli, le preoccupazioni, dico con assoluta convinzione, che se tornassi a nascere, farei di nuovo il pittore. Tanto è per me ragione di vita.
Avviato agli studi classici da mio padre, dura tempra di romagnolo, professore di lettere, passai da un collegio di Fermo, all' Accademia di Brera a Milano.
Sempre istinto e sogno mi guidarono nella vita. Così invece di indirizzarmi a Roma, come è d' uso nelle Marche, il sogno, o il destino volle, che venissi quassù a Milano.
Il ciclone della prima grande guerra ci colse giovanissimi appena iniziata la ricerca di noi stessi. E questa fu la prima delle due grandi fratture che hanno turbato la vita artistica della nostra generazione.
L' altra fu all'ultima conflagrazione mondiale che ha come troncato il filo conduttore che legava le generazioni mature con quelle nuovissime avide di conquista e di notorietà, causando incomprensioni, dissidi, intolleranze e confusioni nell' attuale caotico campo dell' Arte e della critica.
Fin dal primo dopo guerra per inclinazione di temperamento mi sono raccolto in laboriosa solitudine. E' da quell' epoca che la mia opera si svolge con certa logica continuità.
Ebbi qualche periodo di intenzioni programmatiche, e a volte anche in polemica con me stesso, per costruire il quadro come composizione plastica, definita nel ritmo architettonico e sintetizzata nel colore. Ma fatte queste esperienze di indagini, necessarie per un equilibrio tra istinto e riflessione, ripresi la mia libertà interpretativa con la convinzione che la pittura è sopratutto gioia e liberazione dello spirito da ogni costrizione preconcetta.
Devoto alla bella tradizione italiana, ammiro tuttavia ogni nuova ardita ricerca espressiva nel rispetto dei valori umani e morali.
Sono per costituzione eminentemente emotivo ed è quindi ovvio che sia attratto da tutti quegli aspetti della natura e della vita che colpiscono la mia sensibilità; e poichè questi aspetti sono tanti e varii, varii sono pure gli interessi delle mie realizzazioni pittoriche.
Non ho problemi speciali, nè ossessioni di "ismi".
Preferisco l' istinto alle elucubrazioni culturalistiche.
Detesto l' ignoranza. Credo nell' universale eterna ispiratrice la "Natura"
L' emozione che mi spinge a creare, risognata, pensata e filtrata traverso la mia sensibilità, io cerco di realizzarla col segno e col colore, armonizzando forma e contenuto, quasi un' orchestrazione della mia vita interiore col mondo esterno, per trasmetterla alla mia opera il più efficacemente possibile.
E' il famoso stato di grazia.
Se il miracolo avviene è gioia per tutti.

Giuseppe Montanari

Incontri sul naviglio

con un'introduzione di Rinaldo Corti (dalla monografia del 1967)

A dimostrare l'indole e l'humor del Montanari, riportiamo l'articolo che Elena Pelizzoni pubblicò sul Gazzettino Sera di Venezia del 21 ottobre 1957, nel periodo che l'artista abitò a Milano.

Dei noiosi impegni hanno fatto "scendere" nella cerchia del naviglio il pittore Giuseppe Montanari dal suo conventino sopra Varese dove da più di trenta anni trascorre l'estate con tutta la famiglia; un'estate che lui fa proseguire, fingendosi distratto, fino a tutto ottobre. Quest'anno, poi, due impegnative pale d'altare per la cripta di un nuovo santuario e una sua mostra personale che si è inaugurata in questi giorni a Varese, sono motivi più che validi per trattenere il pittore più a lungo nella campagna che ama tanto.
Avevamo imparato a riconoscere fin dalla scuola le riproduzioni di Giuseppe Montanari: i suoi pugili in movimento, solidi e tutti disegnati, e i marciatori e i calciatori che facevano parte di quei soggetti sportivi, intorno al 1930 assolutamente inediti. Ci ricordavamo le grandi composizioni sui primi libri d'arte moderna che attiravano la nostra attenzione e che inquadravano Montanari fra i classici del "Novecento italiano". Il pittore ripensa volentieri alla grande amicizia che lo legava a Boccioni e a Sant'Elia, ma confessa di non aver mai aderito a nessun movimento pur essendo stato affiancatore di vari gruppi ed essendo finito, una volta, persino in galera dopo una serata futurista.
Fare un elenco delle esposizioni importanti alle quali è stato invitato il pittore, o quello dei premi ottenuti, e dei musei che hanno acquistato opere sue sarebbe un'impresa difficile. Lui stesso non ricorda ( o non vuole ricordare ) le sue fortune artistiche, ma si limita a dichiarare che il premio "Principe Umberto" e "Città di Milano" alla Biennale di Brera del 1932 e il premio "Marini Missana" ottenuto nello stesso anno alla Biennale di Venezia per il complesso della sua mostra individuale, gli hanno dato molta fiducia nel suo lavoro.
Un'altra viva soddisfazione Montanari l'ebbe quando fu premiato alla Mostra Internazionale di Pittsburgh da una commissione composta da europei e americani fra i quali era assente il giudice italiano e Matisse, che faceva parte della giuria, appoggiò vivamente l'opera di Montanari.
All'Accademia milanese Montanari fu compagno di Funi, Salietti, Carpi ed Anselmo Bucci: e, come Bucci, è dotato di una facilità descrittiva.
Il pittore, che per sua natura ha vissuto sempre isolato, gode fama di caseur carico di umanità. Sono celebri i suoi racconti "reali".
Ogni volta che Vittorio Emanuele III inaugurava la Biennale veneziana ( racconta argutamente il pittore ), s'informava di che paese fossi. - Sono di Osimo- rispondeva con sussiego. - Anche il mio aiutante di campo, il generale Cittadini, è di Osimo- ridacchiava soddisfatto. Quando per l'ennesima volta mi fu posta la solita domanda risposi con un sorriso che dovette far trapelare non solo cortesia. Mi aspettavo la battuta sul general Cittadini ma il mio atteggiamento non piacque al re che proseguì con un viso sospettoso e rabbuiato.
Alla Quadriennale di Roma ( ricorda ancora il pittore ), esponevo una volta due ritratti di bambini e un quadro raffigurante due buoi. Il giorno del vernissage ogni autore stava davanti ai suoi quadri in attesa dei reali che dovevano inaugurare la mostra.
Un cerimoniere di corte era indaffarato a mantenere una certa distanza fra il gruppo della regina e delle sue dame bardate e quello del re e del suo seguito. Fu appunto a causa di queste manovre che la regina dovette sostare davanti ai miei quadri. Una sosta imprevista che lasciò per qualche istante tutti nel silenzio più profondo.
In quell'occasione ebbi il tempo di togliermi la curiosità di osservare i piedi della regina che dalle fotografie ritenevo grandissimi. Erano invece proporzionati alla persona ampia e massiccia. Siccome la sosta davanti ai miei quadri si prolungava la regina mi rivolse la parola. -Questi sono i suoi bambini?- domandò indicandomi i due ritratti. Risposi di sì anche se non era vero, -Belli questi buoi- disse ancora la regina guardando il quadro e aggiunse: -Noi abbiamo un suo vitellino, acquistato dal re. Ci piace molto-.
Ebbi la tentazione di dirle: -Cerchi di riunire tutta la famiglia!- proponendole il quadro, ma un poco per la mia timidezzae un poco per il cerimoniere che si portò via tutto il gruppo delle damasse la battuta non mi uscì di bocca.......e il vitellino rimase senza parenti.
La voce del pittore si modifica secondo i personaggi che fa parlare offrendo una mimica di attore a chi lo ascolta e gli occhi azzurri, a volte così melanconici, si riempono di luce viva partecipando con tutta la persona a quanto racconta.

Elena Pellizzoni